Ricaricare un condizionatore che perde: quando (quasi) non conviene e perché spesso è meglio sostituire

Ricaricare un condizionatore che perde: perché nella maggior parte dei casi non conviene

All’inizio dell’estate arrivano richieste a raffica: “il clima non raffredda più, potete ricaricare il gas?”. La realtà è che la ricarica ha senso solo dopo aver risolto la causa. E, nella pratica, su macchine oltre i 2 anni o con perdite interne ai gruppi, spesso non conviene.

Molti clienti pensano che la ricarica del gas sia la soluzione più rapida ed economica per un condizionatore che ha perso rendimento. In realtà, la ricarica è l’ultimo passo di una procedura tecnica che ha senso solo se la perdita è individuata, riparata e collaudata. Altrimenti si tratta di un palliativo che dura poco e può danneggiare il compressore.

Prima verità: non sempre il problema è “manca gas”

Un impianto che raffredda male non indica automaticamente carenza di refrigerante. Cause frequenti sono filtri e batterie sporche, ventole osonde difettose, errori di installazione, errato posizionamento dell’unità esterna o temperature estreme. Per questo serve una diagnosi prima di parlare di gas.

La ricarica senza diagnosi è una toppa, non una riparazione. Se il circuito perde, tornerà a perdere. E ogni ricarica “alla cieca” aumenta i rischi per il compressore e per l’ambiente.

La procedura corretta (in sintesi operativa)

  1. Controlli visivi: verifiche su cartelle (raccordi conici in rame), vibrazioni, tracce d’olio, ossidazioni sulle saldature, griglie e filtri.
  2. Diagnosi strumentale: lettura pressioni/temperatura, surriscaldamento e sottoraffreddamento, assorbimenti elettrici, errori di scheda.
  3. Ricerca perdite:
    • sniffer H2 (azoto-idrogeno) o elettronico per HFC/HFO,
    • tracciante UV (dove consentito),
    • prova in pressione con azoto secco (tipicamente 30–40 bar, secondo specifiche macchina),
    • soluzione rilevatrice su cartelle e brasature.
  4. Riparazione: rifacimento cartelle, sostituzione valvole, brasatura (saldatura a caldo del rame) sempre sotto flusso di azoto per evitare ossidi interni.
  5. Vuoto profondo: con pompa e vacuometro fino a soglie tipiche <500 micron, test di tenuta al vuoto (decadimento) e, se necessario, ripetizione.
  6. Ricarica a peso: con bilancia elettronica conforme, secondo targa macchina e correzioni di linea (dove previste).
  7. Collaudo: verifiche funzionali a regime, drenaggi condensa, log errori.

Se la perdita è in uno scambiatore o in un componente del gruppo interno/esterno (batteria, valvole di espansione, collettori), la riparazione è spesso antieconomica e poco affidabile. In questi casi conviene sostituire l’unità o l’intero sistema.

Perché (quasi) non conviene “rimettere a posto” un clima che perde

  • Età dell’apparecchio: oltre i 2 anni (e in generale su macchine con 8–10 anni di vita utile residua), l’intervento rischia di costare molto rispetto al valore residuo.
  • Localizzazione della perdita: se non è su cartelle/linee ma su componenti interni, smontare, riparare, riassemblare è lungo, costoso e l’esito non è garantito.
  • Costi “invisibili”: gas, materiali, tempo uomo, prove di pressione, vuoto e collaudi si sommano. Sui multi split la complessità (più linee, più valvole) raddoppia.
  • Rischio ricadute: una minima microfuga residua fa evaporare in poco tempo il beneficio dell’intervento; intanto il compressore ha lavorato in stress.
  • Normativa e responsabilità: interventi FGAS richiedono procedure e registrazioni. Farli “a spanne” espone a rischi tecnici e legali.

Quando ha senso tentare la riparazione

In linea generale, ha senso solo se:

  • l’apparecchio ha ≤ 2 anni o è comunque recente;
  • la perdita è su cartelle o tratte di tubazione accessibili (non sottotraccia);
  • il modello è di pregio/nuova generazione e i ricambi sono disponibili a costi sensati;
  • l’ambiente impone tempi stretti (locale server, degenza): si ripara temporaneamente in attesa di sostituzione pianificata.

Perché il multi split complica tutto

Nei sistemi multi, una singola perdita può richiedere diagnosi su più rami e valvole d’espansione elettroniche, con tempi e costi che spesso superano la sostituzione parziale o totale del sistema. Inoltre, piccole differenze di carica alterano la ripartizione del refrigerante tra le unità, con difetti intermittenti difficili da replicare.

5 consigli pratici per decidere con buon senso

  1. Diagnosi prima di tutto: chiedi sempre prova perdite/azoto, vuoto con vacuometro e report letture; evita la semplice “aggiunta di gas”.
  2. Valuta l’età: oltre 2 anni e con perdita interna ai gruppi, di norma conviene sostituire.
  3. Chiedi fattibilità e garanzia: se non possono garantire la tenuta dopo riparazione, non ha senso procedere.
  4. Occhio ai multi: diagnosi lunga e costi alti; valuta direttamente soluzioni sostitutive.
  5. Affidati a tecnici FGAS: ricariche a sentimento e senza strumenti = soldi buttati e rischio per il compressore.

Conclusioni

Volendo tutto si può sistemare, ma la domanda corretta è: conviene davvero? Spesso no. Se la macchina è recente e la perdita è su cartelle o linee accessibili, riparare ha senso. Ma quando parliamo di perdite su scambiatori, valvole interne o sistemi multi, il conto (tempo, materiali, incertezza) supera il beneficio: meglio sostituire e ripartire da un impianto efficiente e garantito.

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FAQ — Ricarica e perdite nei climatizzatori

Mi basta ricaricare il gas per far tornare freddo?

No. Senza ricerca e riparazione della perdita la ricarica è temporanea e rischiosa per il compressore.

Come si trova una perdita?

Con ispezione, sniffer elettronici, tracciante UV (dove consentito), prova in pressione con azoto e test al vuoto con vacuometro.

Quando conviene riparare invece di sostituire?

Se l’unità è recente (≤ 2 anni) e la perdita è su cartelle o tratti accessibili. Perdite interne ai gruppi di solito non convengono.

Nei multi split è più complicato?

Sì: più linee e valvole, diagnosi lunga e costosa. Spesso è più sensato pianificare una sostituzione.

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